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Le viti americane

Oltre alla fillossera, una piaga che un secolo fa decimava i raccolti, erano le gelate. C’è da dire che in pianura, per via dell’umidità, la vite nostrana richiedeva più cure e più trattamenti. La vite americana invece resisteva bene: per proteggere l’uva bastavano 2-3 pompate di solfato di rame + calce (ed eventualmente un po’ di polvere di zolfo sul grappolo ancora verde, umido di rugiada) e i grappoli andavano a maturazione senza problemi. Tra l’altro la produzione era anche abbondante, grazie alla notevole arborescenza della vite americana. Tutte motivazioni queste, che in periodi di agricoltura stentata, di povertà diffusa e di guerre, condizionarono le scelte di cosa coltivare.

Clinto in trincea

Nel 1877, il discorso di fine annata, ai coloni del conte di Feltre, fu tenuto dal curato Don Fiorenzo: “Oh, sia pur benedetta l’America, io quasi quasi le perdono il brutto peccato di averci menato via e di continuare a menarci via tanta gente facendosi spacciare per il paese della cuccagna a buon mercato, perché dessa, l’America, in riparazione di tanto torto ci ha mandato in qua una bravissima vite, che è fortissima contro i freddi e le brine di primavera…”. Il Clinto fu il vino della sopravvivenza economica, per migliaia di contadini stremati e, in anni successivi, di conforto per i soldati in trincea.                                        Le retrovie del fronte rispondevano con ciò di cui disponevano, e si trattava soprattutto di vini da ibridi produttori diretti. Le malattie e l’impossibilità di curare le viti in modo adeguato, senza alcun trattamento a disposizione, obbligavano all’impianto delle viti americane. E finita la guerra, soprattutto nelle zone disastrate a ridosso del fronte, “i contadini ripiantarono quelle stesse viti che davano meno problemi, quelle di uva americana”. (citazioni da “Vini proibiti” di M. Borgo A. Costacurta).                                      

Clinto e pellagra

Per molti contadini, in sostanza, vinificare Clinto rappresentò una necessità, e non certo una scelta di gusto.                                                                                                            “Vinceremo la guerra e i contadini non moriranno più di ulcera gastrica per colpa del Clinto, e non si ammaleranno più di pellagra a forza di mangiare polenta al mattino, mezzogiorno e sera. Finalmente potremo mangiare anche noi tutti i santi giorni, e bere il vino bianco, che ci è sempre stato negato perché al contadino è riservato il Clinto, quello che con il suo colore quasi nero proietta ombra sul tavolo, dove si posa il bicchiere”. Questa citazione ritrovata mi fa venire in mente un aneddoto che mi raccontava mio padre, sindaco nel dopoguerra di Farra di Soligo, paese in quegli anni ad economia agricola, fatta di piccolissime aziende contadine.

Clinto e la frasca

A Farra si produceva anche il Clinto, e un anno la produzione fu così abbondante, che non era possibile vendere tutta l’uva, che venne trasformata in vino. Visto che i contadini non riuscivano a venderlo, chiesero al sindaco il permesso di esporre la “frasca” sopra la porta di casa, e di vendere il vino agli avventori che volevano passare qualche ora a giocare alle carte, con una tariffa oraria di consumo (!). In seguito alle rimostranze degli osti, che lamentavano la perdita di clienti, il sindaco fece una proposta: i contadini potevano continuare a offrire il vino con la tariffa oraria, ma non era concesso agli ospiti di sedersi (per battere il fante), privilegio riservato solo alle osterie.

Graziano Lazzarotto

uva clinton
Uva clinton